La quercia (genere Quercus, che comprende molte specie) aveva
tra i Celti un’importanza simbolica considerevole. Le foreste
di querce erano molto diffuse, soprattutto sul continente, e sembra
che alcune divinità fossero ritenute risiedere in questi alberi.
Un retaggio di questa credenza permane nel folklore del Nord dell’Inghilterra,
dove si trovano riferimenti a folletti (fairies) che vivevano
in grandi querce e dove gran parte dei villaggi avevano un albero sacro,
per lo più una quercia, dove questi esseri avevano la loro dimora.
Si raccontava che quando una quercia veniva abbattuta, l’albero
lanciasse un terribile grido, che annunciava sventura su colui che aveva
compiuto quell’azione. Lo stesso termine di “druidi”,
con cui si indicava la classe sacerdotale dei Celti, è connesso
con un’antica parola che significa “quercia”: quest’albero
era infatti particolarmente sacro poiché vi cresceva il vischio
che veniva raccolto dai druidi in quanto ritenuta una pianta dai poteri
terapeutici e stimolatori della fertilità.
La maggior parte del culto che i Celti rivolgevano ai loro dei non si
svolgeva in luoghi costruiti dall’uomo, ma in aree all’aperto,
soprattutto in boschi sacri, accanto a sorgenti o a specchi d’acqua.
Gli spazi aperti in un bosco, dove si svolgevano attività cultuali,
erano chiamati nemeton, una parola associata al latino nemus, che indicava
un bosco sacro. Il poeta latino Lucano (Pharsalia, III, 399
sgg.) descrive un bosco sacro ai Celti nei pressi dell’attuale
Marsiglia, dove si tenevano sacri riti rivolti a divinità “barbare”
(hunc […] tenent […] barbara ritu
sacra deum). Nelle iscrizioni di epoca romana rinvenute nei Pirenei
si trova frequente menzione di alberi considerati sede di una presenza
divina: Deo Fago (il “dio del faggio”), Deo Robori (il “dio
della quercia”) e Sexarbori Deo (il “dio dei sei alberi”)
(Mac Cana 1986).
A proposito dei Germani, Tacito afferma che “reputano non conveniente
alla grandezza degli dei costringerli tra le pareti di un tempio o raffigurarli
con fattezze umane: dunque consacrano loro boschi e foreste e chiamano
con il nome di dei quella entità misteriosa (secretum illud)
che solo la devozione religiosa rende percepibile” (Germania,
19). I Semnoni, una popolazione germanica, manifestano un riverente
rispetto per la foresta, “resa sacra dai presagi dei padri e da
un terrore primigenio”, nella quale vedono il potere di un nume
(potestates numinis) e dalla quale ritengono di trarre la propria
origine: “lì risiede il dio che regna su tutto e al quale
ogni cosa è soggetta e obbedisce” (Germania, 39).