Follia Rituale

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Pittura su interno di coppa attica (490 a.C.) conservata presso la Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek di Monaco di Baviera. La figura mostra una Menade, seguace del culto di Dioniso, che regge in una mano il tirso e con l’altra un piccolo leopardo. L’abbigliamento ricorda quello che Euripide descrive a proposito delle adepte del dio dell’ebbrezza: vestite di pelli di cerbiatto e di altri animali, coronate di edera, cinte di serpenti, recanti in braccio cerbiatti o lupacchiotti selvatici e talora allattandoli (Baccanti, v. 695 e seg.). I riti dionisiaci erano riti notturni, celebrati lontano dalle città, sui monti e nelle foreste. La partecipazione a questi culti era prevalentemente femminile e il termine con cui vengono indicate le seguaci del dio, Menadi, deriva dalla parola manía ossia la follia estatica indotta dal contatto con Dioniso. Mentre i veneratori del dio raggiungevano l’estasi con il consumo del vino, le figure femminili non necessitavano della bevanda per entrare nella condizione di follia estatica (che i Greci chiamavano enthusiasmós che significa “essere posseduti da un dio”). Per le baccanti (altro termine con cui si designavano le adoratrici del dio, chiamato Bacco in alcune regioni dell’Asia Minore) la comunione con il dio si realizzava attraverso la musica, la danza, e con una forma particolare di sacrificio che comportava lo squartamento della vittima (sparagmós) e la consumazione della sua carne cruda (omophagía). Gli animali uccisi e divorati erano in qualche modo delle epifanie o manifestazioni di Dioniso, divinità caratterizzata dalla sua capacità di trasformarsi in varie forme animali e umane.

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Immagine: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Mainade_Staatliche_Antikensammlungen _2645.jpg]