Anfora di produzione attica (ca. 530-520 B.C.) raffigurante una maschera
di Dioniso, conservata presso il Museo Nazionale di Tarquinia. A differenza
degli altri dei, Dioniso è talora rappresentato di fronte con
gli occhi che guardano direttamente quelli dell’osservatore. Proprio
tale raffigurazione induce a comprendere al meglio il potere ineludibile
del suo sguardo, che provoca un annullamento delle barriere che comunemente
separano l’umano dal divino e consente una compenetrazione del
seguace con il dio. Attorno a lui Menadi in trance estatica, Satiri,
Centauri e Sileni si muovono animatamente esprimendo con capriole e
con salti il loro delirio gioioso e liberatorio, dissolvendo così
ogni barriera tra l’uomo e l’animale, tra maschio e femmina,
tra giovane e vecchio. Anche l’indovino Tiresia e il re Cadmo,
nelle Baccanti di Euripide, ormai molto anziani, si fanno trascinare
dalla divina follia. Del resto le apparizioni di Dioniso mostrano un
dio multiforme: talora in veste di bambino, di giovane e di uomo adulto
come pure in forma animale o vegetale. Lo sguardo di Dioniso ha il potere
di indurre la manìa (follia sacra) e di condurre colui
che lo osserva fuori da sé. Come scrive Vernant: “ Dioniso
ci insegna o ci costringe a diventare qualche cosa di diverso rispetto
a ciò che siamo ordinariamente” (Vernant, 1986).
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