I documenti redatti dai missionari Gesuiti, che si stabilirono nel territorio degli Huroni fin dal 1626, ci hanno trasmesso una gran quantità di informazioni sulle pratiche e le credenze di questo popolo di lingua irochese quali si potevano osservare durante il XVII secolo. Essi notarono come gli Huroni non mostrassero particolare timore nei confronti della morte, poiché pensavano che questa fosse un passaggio ad un’altra vita non molto diversa da quella dei viventi. Quando un individuo si avvicinava all’ora della morte veniva preparato per l’evento, ancor prima che avvenisse il trapasso definitivo. La morte era annunciata pubblicamente in tutto il villaggio, mentre il corpo era accudito dai membri di un clan diverso da quello a cui apparteneva il defunto, stabilendo in tal modo legami di mutua assistenza e di scambio tra i gruppi parentali. Appena avvenuta la morte iniziavano le lamentazioni rituali, mentre i conoscenti del defunto ne declamavano le virtù. Tre giorni dopo, un capo delle cerimonie annunciava la celebrazione di una festa, alla quale si pensava che l’anima del deceduto avrebbe partecipato. Durante la festa numerosi doni venivano accumulati intorno al corpo del morto ed erano destinati ai parenti di questo e a coloro che dirigevano i rituali funebri.
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Ricostruzione dell'interno di una casa lunga degli Huroni (Huron-Wendat Museum in Wendake, Quebec) |
Il corpo veniva collocato su una piattaforma e accompagnato da altri doni offerti con dovizia dai parenti. Il missionario Brébeuf lamentava, infatti, che gli Huroni lavorassero e accumulassero beni con il commercio solo per distribuirli in occasione delle feste funebri. Generalmente il periodo di lutto durava circa dieci giorni, ma la moglie o il marito sopravvissuti erano tenuti al lutto per un intero anno: durante questo periodo essi non potevano partecipare a feste e celebrazioni e, naturalmente, non potevano contrarre un nuovo matrimonio.
Le sepolture erano però solo temporanee, poiché all’incirca ogni 8 o 12 anni tutti i morti venivano riesumati e preparati per la cerimonia più importante, la grande Festa dei Morti, in cui diversi villaggi si riunivano per seppellire collettivamente i propri morti in una fossa comune.
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Incisione raffigurante la Festa dei Morti presso gli Huroni. Si osservano in primo piano alcuni uomini che portano a spalle i cadaveri dei propri parenti, destinati a essere sepolti, a distanza di circa dieci anni dalla morte, in una fossa comune (da : J.-F. Lafitau, Moeurs des sauvages amériquains, Parigi, 1724, Vol II) |
Gli Huroni pensavano che ogni persona possedesse due “anime”: una vagava intorno al cadavere fino al momento della Festa dei Morti, al termine della quale era liberata e poteva nuovamente incarnarsi e rinascere in un altro corpo. La seconda, dopo la Festa, si incamminava per raggiungere il villaggio dei morti, che si trovava nella direzione del tramontar del sole, a Ovest. Si pensava che al termine della Festa dei Morti le anime si riunissero, avvolte nella loro coperta funebre e portando con sé i doni funerari, prendendo la strada indicata dalla Via Lattea. Il percorso che portava verso il villaggio dei morti era costellato di pericoli e di ostacoli: uno spirito che poteva perforare il cranio del defunto ed estrarne il cervello, oppure un cane, che sorvegliava il passaggio di un fiume su un tronco posto di traverso, e che poteva far precipitare coloro che lo attraversavano e farli annegare. Dopo diversi mesi di viaggio le anime giungevano finalmente al villaggio dei morti, dove avrebbero potuto continuare a condurre una vita simile a quella che avevano trascorso nel mondo dei vivi (Heidenreich 1978: p. 174-175).
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Tumulo funerario attribuito agli Irochesi, Allen County, Indiana
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Anche tra gli Irochesi si ritrovano concezioni molto simili: alle cerimonie che seguivano la morte di un individuo si pensava che partecipasse anche lo spirito (o lo “spettro”) del defunto, il quale non si sarebbe allontanato finché non fosse trascorso un periodo di dieci giorni dalla morte. A questo punto l’anima abbandonava il suo mondo e si inoltrava lungo il Sentiero delle Anime, la Via Lattea.
Dopo la morte, il defunto veniva abbigliato con gli “abiti da morto” ossia con vestiti di foggia tradizionale. Specchi e altre superfici riflettenti venivano coperti con dei tessuti, per evitare che qualcuno, specialmente i bambini, potessero essere spaventati dall’improvvisa apparizione dell’immagine dello spettro del defunto. Una cerimonia speciale, chiamata ohki’weh in lingua Seneca (Festa dei Morti o Canti per i Morti), veniva celebrata annualmente per tutti i morti della comunità. Essa comprendeva offerte di tabacco e invocazioni ai defunti, canti e danze che si svolgevano in senso orario, invece del senso anti-orario comunemente impiegato nelle danze, poiché si pensava che queste danze non solo fossero rivolte ai morti, ma che i morti stessi vi prendessero parte (Tooker 1978: p. 462).
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