Presso numerosi gruppi di lingua algonchina (Cree, Ojibwa, Menomini, Micmac, Delaware, ecc.), quando un orso veniva ucciso si eseguiva un rituale allo scopo di ammansire lo spirito dell’animale, prima di procedere alla macellazione e allo smembramento del suo corpo. La carne dell’orso costituiva una sorta di nutrimento sacro e veniva consumata nel corso di una festa pubblica, durante la quale venivano pronunciate invocazioni rivolte all’orso, intese a favorire la riproduzione e l’abbondanza della selvaggina. Dopo la cerimonia, il cranio dell’orso veniva spesso pulito, seccato e poi dipinto, per essere successivamente depositato in qualche posto sopraelevato, su una piattaforma, un palo o una roccia, accanto a offerte di tabacco o di nastri colorati.
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Queste cerimonie trovano numerose similitudini con quelle praticate dai popoli dell’Eurasia settentrionale (Lapponi e popoli della Siberia), tanto che l’antropologo Irving Hallowell (1928) ha individuato in queste analogie la traccia di un culto dell’orso comune a tutto il mondo circum-boreale. Tratti comuni di questi riti sono: la invocazione per la buona riuscita della caccia e per l’abbondanza degli animali, il rito di riparazione dopo l’avvenuta uccisione dell’animale, l’accoglienza dell’animale ucciso come se fosse un ospite di riguardo, la disposizione accurata del cranio e delle ossa, secondo precise norme, che assicurano la rinascita dell’animale. Spesso l’orso viene considerato come un “Signore degli animali”, il rappresentante di tutti gli animali della foresta, talvolta come uno spirito o una divinità che ha assunto la forma animale per offrirsi volontariamente come preda per i cacciatori umani. Parte integrante di queste cerimonie è un mito che generalmente narra del matrimonio tra una donna e un orso. In seguito l’orso si lascia uccidere da qualche parente della moglie, a condizione che in ogni futura caccia ai suoi simili si osservino le regole rituali che lui ha stabilito.
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