Scultura in legno della “Musseta” (“Muletta”),
opera del XIV secolo, conservata nella Chiesa di Santa Maria in Organo,
a Verona. La leggenda voleva che la statua fosse arenata sulle rive
dell’Adige, di fronte alla chiesa, e contenesse al suo interno
la pelle dell’asino che aveva trasportato Gesù quando era
entrato a Gerusalemme. La statua dell’asino veniva portata in
processione il giorno della Domenica delle Palme, chiamato “dies
festus de mulula”, in un’atmosfera carnevalesca e scherzosa
che creava qualche imbarazzo alle autorità ecclesiastiche, che
decisero di proibire la celebrazione della festa.
L’asino assume nella simbologia cristiana il significato di animale
che esprime innanzitutto la virtù della pazienza e della sopportazione,
dell’umiltà che lo avvicina alla figura e al messaggio
di Cristo. La profezia di Zaccaria (9, 9) che preannunciava l’arrivo
di un nuovo re, che si sarebbe manifestato nell’umiltà
a cavallo di un asino, secondo i Vangeli si era realizzata con l’ingresso
di Gesù a Gerusalemme la Domenica delle Palme, ossia la domenica
che precedeva la festa ebraica di Pèsach, un’antica festa
della primavera.
Ma nell’Antico Testamento alcuni episodi, come quello dell’asina
di Balaam che aveva la facoltà di vedere gli angeli e di parlare
al suo padrone (Numeri, 22, 22-35), ne fanno anche un animale in grado
di vedere l’invisibile. D’altra parte, nel mondo greco l’asino
si trovava spesso in compagnia di Dioniso, come cavalcatura del dio
che induceva nei suoi seguaci la follia estatica sia attraverso il vino
che attraverso la musica e la danza.
La comparsa di un asino che veniva introdotto in chiesa durante le “Feste
dei Folli” medievali non era soltanto un atto di derisione e di
capovolgimento dei ruoli, ma rivelava la permanenza di un profondo legame
con le antiche credenze sull’animale, vissuto dalla religiosità
popolare in tutta la sua concretezza e gioiosità. Marius Schneider,
nelle sue ricerche sul simbolismo musicale nell’arte medioevale,
ha ravvisato una correlazione tra l’asino e il Folle, che lui
chiama il Buffone. Quest’ultimo è caratterizzato da una
fondamentale ambiguità e dualità, collocandosi in uno
spazio interstiziale tra la ragione e la follia, tra saggezza e stoltezza,
tra il sapere umano e la conoscenza delle cose divine. “L’animale
che meglio corrisponde al buffone è l’asino. La tromba
del buffone è chiamata “peto di asino”. Alla natura
duale e alla voce del buffone corrispondono i due gridi così
caratteristici dell’asino, i cui ragli si verificano mediante
un continuo cambio dei registri della voce” (Schneider 1986, p.
282). Il copricapo del Folle è spesso sormontato da un paio di
orecchie d’asino, ma questo non significa solo un simbolo di stoltezza
e ignoranza. Infatti le gradi orecchie dell’asino “gli permettono
di udire –cioè di sapere – tutto. Per questo l’asino
è considerato anche come un grande sapiente e in una tradizione
più tarda svolge il ruolo di giudice nei concorsi musicali (cioè
nell’ordine cosmico)” (Schneider 1986, p. 283).
L’asino più celebre è quello che compare, accanto
al bue, nell’iconografia tradizionale del presepe, e che si trova
già fin dalle più antiche raffigurazioni della Natività,
sebbene nei testi evangelici non vi sia alcuna menzione di questi due
animali. Entrambi associati alla mansuetudine e alla pazienza, asino
e bue sono però valorizzati diversamente nei testi medioevali.
Mentre l’asino assume anche connotati negativi, come simbolo di
ignoranza e di cocciutaggine, il bue viene valutato più positivamente,
perché più docile nel lavoro, più resistente e
fedele compagno di fatica dell’uomo nei campi.
[Immagine: http://www.veja.it/2009/06/20/verona-la-muletta-di-santa-maria-in-organo/]