Feste

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Dipinto di Hans Hemling, realizzato nel 1491 come parte di un trittico che doveva ornare l’altare del Duomo di Lubecca, ora conservato nel St. Annen-Museum, Lubecca, Germania. L’immagine raffigura il vescovo San Biagio.
Secondo la leggenda, diffusa nell’VIII secolo, egli era vescovo in Armenia e, costretto a fuggire a causa delle persecuzioni anticristiane, si rifugiò in una località isolata, dove viveva in una caverna in compagnia di animali selvaggi. Si racconta che egli venne martirizzato con i pettini di metallo usati per cardare la lana e infine ucciso: per questo motivo divenne il patrono dei cardatori di lana. È possibile che la tradizione popolare abbia voluto mettere in relazione il martirio del Santo con la “morte” della lana, che avviene attraverso la sua lavorazione. Le tappe della lavorazione della lana, come quelle delle altre piante tessili, si inscrivono in un campo semantico segnato dalla violenza, dallo smembramento e dalla purificazione, che vedono in un certo senso la lana stessa subire una sorta di martirio (Gaignebet 1974, p. 81-82), per una cultura che ancora tendeva a personificare, non solo gli animali e le piante, ma anche vari altri aspetti della natura.
Altro attributo di San Biagio è la candela, fin dall’antichità simbolo di purificazione e rinascita, una rivivificazione in stretta connessione con il mondo della natura, poiché ha luogo proprio nel momento di transizione dall’inverno alla primavera. Al Santo vengono inoltre riconosciuti poteri di cura, in particolare rispetto alle malattie della gola, in continuità con le funzioni che venivano attribuite a figure del mito che permeavano la mentalità comune, quali il Folle e il Selvaggio. Ancora in epoca contemporanea durante la sua festa, il 3 Febbraio (il giorno successivo alla Candelora), era uso benedire la gola dei fedeli con due candele incrociate.

[Immagine: http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Hans_Memling_002.jpg]