Mosaico del XIII secolo, dall’abside della Basilica di Santa Maria
in Trastevere, Roma. Il fregio mostra Cristo attorniato dagli apostoli,
tutti rappresentati in forma di agnelli. L’espressione evangelica
di “Agnello di Dio” (Agnus Dei) viene impiegata
nel Cristianesimo con valore simbolico, per indicare il ruolo di Gesù
come vittima sacrificale per la redenzione dei peccati dell’umanità.
Il primo riferimento è all’agnello pasquale, che veniva
sacrificato nel mondo ebraico in occasione della Pasqua (Pèsach),
a ricordo del sangue degli agnelli, posto sugli stipiti delle porte,
che salvò gli Ebrei dalla morte con la quale Dio colpì
i figli degli Egiziani (Esodo, 12,1 – 14, 46). Tuttavia,
radici più lontane conducono al mondo sumerico, dove il dio Dumuzi,
considerato pastore e protettore delle greggi, spesso simbolizzato da
un ariete, era protagonista di una vicenda mitica di periodica scomparsa
nel mondo dei morti e successiva ricomparsa in occasione della festa
di primavera.
Nella carne dell’agnello si vedeva quella del Cristo sofferente,
e ciò faceva pensare all’ariete sacrificato al posto di
Isacco nel racconto della Genesi (22, 2-13). In entrambi i casi si rendeva
esplicita una certa intercambiabilità tra uomo e animale. Certamente
i Padri della Chiesa hanno interpretato queste raffigurazioni come puramente
allegoriche, senza alcuna connessione con le immagini degli animali
che erano diffuse nelle religioni pagane e che erano oggetto di continui
attacchi polemici. Tuttavia, rimane più problematica la rispondenza
che immagini così concrete potevano suscitare nella mentalità
popolare, ancora profondamente impregnata di tradizioni che consideravano
del tutto possibili le trasformazioni tra un essere umano e un animale
e viceversa.
[Immagine: http://personal.stthomas.edu/plgavrilyuk/PLGAVRILYUK/Art/Lamb/
Lamb%20Rome.htm]