Testa
di ariete in ceramica dipinta appartenente al periodo di Uruk tardo
(3300-3100 a.C.) conservato al Metropolitan Museum di New York. L’ariete
fu uno dei primi animali addomesticati nel Vicino Oriente e acquisì
gradualmente una rilevante importanza simbolica. La sua frequente associazione
con l’albero della vita ne rivela l’identificazione con
il principio di fecondità. Era probabilmente associato alle feste
di primavera, che costituivano l’inizio dell’anno secondo
il calendario babilonese. Questo è suffragato dal fatto che la
costellazione che indica l’equinozio di primavera era chiamata
dai Sumeri lù-hun-gá, “Il lavoratore a
giornata” o “il bracciante”. Sappiamo da alcuni testi
che questo personaggio altri non è se non il dio Dumuzi, il dio
pastore che muore e risorge. L’attributo di questa divinità
era l’ariete o l’agnello maschio (lù o immeru),
che spesso compariva come segno indicativo della costellazione. Questo
spiega perché, quando gli astronomi greci importarono lo zodiaco
mesopotamico (secondo Plinio ad opera di Cleostrato di Tenedo nel 520
a.C.), chiamarono la costellazione Kríos, ovvero Ariete, nome
che la contraddistingue ancora oggi (Laffitte 2006, Laffitte-Selefa
2006). La convenzione seguita tuttora dagli oroscopi di iniziare la
serie zodiacale con il segno dell’Ariete è un lontano ricordo
del tempo in cui questa costellazione segnava l’inizio del nuovo
anno.
[Immagine: http://www.metmuseum.org/toah/works-of-art/1981.53]