Rilievo marmoreo di età augustea (I secolo d.C.) raffigurante
una scena di sacrificio, esposto al Museo del Louvre. Il sacrificio
rappresentato era chiamato dai Romani suovetaurilia, un nome
composto che indicava l’immolazione contemporanea di tre animali:
un maiale (sus), una pecora (ovis), e un toro (taurus).
Tale offerta veniva dedicata a diverse divinità nel corso di
cerimonie di purificazione, ma era considerata particolarmente appropriata
al dio Marte, per invocarne la protezione contro malattie e pestilenze.
Nel corso delle Ambarvalia, feste religiose che si celebravano nel mese
di maggio, il momento culminante era costituito da una processione che
conduceva i tre animali destinati al sacrificio intorno ai confini dei
terreni coltivati, in modo da assicurare fertilità e prosperità
ai campi all’interno del percorso rituale. Ciascuno dei tre animali
rivestiva un ruolo simbolico particolare. Il maiale aveva un significato
augurale, infatti nell’Eneide (III, 390 e sgg.) viene
preannunciato a Enea che il luogo adatto per fondare una città
sarebbe stato quello in cui avesse scorto una grande scrofa nell’atto
di allattare trenta maialini. La numerosa figliata era simbolo della
fertilità e del potere riproduttivo che connotava, secondo le
credenze degli antichi Romani, la femmina del maiale. La pecora era
una delle vittime più frequenti nei sacrifici celebrati nel mondo
antico, e nella favolistica antica (Esopo e Fedro) diviene l’emblema
della mansuetudine e della timidezza (anche per queste qualità
l’agnello venne scelto dai Cristiani come simbolo del sacrificio
di Cristo). Infine il toro ha costituito il principale animale simbolico
in tutto il bacino del Mediterraneo fin da una remota antichità.
Per i Greci e per i Romani era l’offerta più gradita agli
dei e il sacrificio del toro costituiva il momento centrale delle principali
cerimonie religiose.
[Immagine:
http://www.engramma.it/eOS2/index.php?id_articolo=1461]