Gli
Ambarvalia
Busto
in marmo dell’imperatore Antonino Pio (dal 138 al 161 d.C.) con
il costume dei Fratelli Arvali, conservato al Museo del Louvre.
Il sodalizio dei Fratelli Arvali (Collegium Fratrum Arvalium) era una
confraternita di dodici sacerdoti (che forse richiamava i dodici mesi
dell’anno) che era incaricata delle celebrazioni degli Ambarvalia,
una festa che si svolgeva verso la fine di maggio, allo scopo di propiziare
i raccolti dei campi. I tre giorni di festa iniziavano a Roma e comprendevano
un banchetto, con offerte di pani e di spighe sia secche che verdi (a
significare il raccolto passato e quello che si apprestava a maturare
nei campi). I Fratelli Arvali vestivano di bianco e indossavano corone
di spighe intorno al capo. Il secondo giorno, la festa si svolgeva nel
boschetto sacro alla Dea Dia, fuori dalla cinta urbana, lungo la Via
Campana, ai confini del territorio (l’ager romanus antiquus).
La dea Dia era un’antica divinità legata all’agricoltura
e successivamente assimilata a Cerere. Doveva trattarsi di una antica
compagna di Iuppiter (chiamato anche Dius, “luminoso”) che
rappresentava la benefica luce del cielo che favoriva la germinazione
e la maturazione dei raccolti.
Il momento culminante della cerimonia consisteva in una processione,
con la quale gli animali destinati al sacrificio venivano condotti intorno
ai confini dei campi coltivati, come a creare un cerchio sacro che ne
garantisse la fertilità e l’abbondanza. Il sacrificio comportava
l’immolazione di un toro, un maiale e una pecora (suovetaurilia)
ed era rivolto a Marte che, in quanto dio della guerra, aveva anche
la funzione di proteggere i campi e di allontanare malattie e pestilenze.
Secondo la tradizione gli Arvali venivano identificati con i dodici
figli di Acca Larentia, la donna che aveva fatto da madre adottiva ai
gemelli Romolo e Remo, ma che nel nome rivela la sua natura di “madre
dei Lari”. I Fratelli Arvali in effetti invocavano la protezione
dei Lari, i morti divinizzati, per i campi e i raccolti, in tal modo,gli
antenati, i proprietari originari del territorio, potevano concedere
il permesso di raccogliere i prodotti della terra (Sabbatucci 1988,
p. 179).
[Immagine:
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:L%27Image_et_le_Pouvoir_-_Portrait_d%27Antonin_le_Pieux_02.jpg]