Figura
in alto:
Statua marmorea della dea Fortuna, copia romana del II secolo d. C.
di un originale greco del V secolo a.C. , esposta ai Musei Statali di
Berlino. Fortuna era una divinità latina che sovrintendeva a
quanto vi è di imprevedibile nella vita e personificava l’incertezza
e le oscillazioni della sorte che caratterizzano l’esistenza umana.
È probabile che originariamente la dea rappresentasse la fertilità
e la ricchezza che dalla sorte conseguono. Simbolo delle sue funzioni
erano i due attributi iconografici più frequenti, entrambi derivati
dalla sua omologa greca (Tyche): il timone e la cornucopia. Il primo
rappresentava il suo ruolo di conduttrice delle vicende umane, mentre
il secondo richiamava il significato di abbondanza e di prosperità.
Il capo della dea è ornato con un kalathos, canestro
impiegato per riporre gli strumenti dei lavori femminili, ma anche frutta
o spighe di grano e in cui si lavorava il formaggio. Il culto di Fortuna
era particolarmente praticato dai ceti sociali meno elevati e soprattutto
dagli schiavi. A Preneste, l’attuale Palestrina, sorgeva un imponente
tempio dedicato a Fortuna Primigenia, forse col significato di figlia
primogenita di Giove. Qui aveva sede un oracolo che si esprimeva attraverso
bastoncini recanti frasi incise, che un fanciullo estraeva a sorte e
distribuiva agli interroganti.
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Figura
in basso:
Tempio
nel Foro Boario di Roma conosciuto come “Tempio di Fortuna Virilis”,
risalente al II-I secolo a.C. Originariamente il tempio era dedicato
a Portunus, una divinità protettrice delle città portuali,
delle porte e delle mercanzie, e forse successivamente venne attribuito
alla dea Fortuna. La festa di Fortuna Virilis, nonostante il nome, era
un rituale prettamente femminile che si celebrava nelle Calende di Aprile,
il primo giorno del mese, in connessione con Venere Verticordia (“che
volge i cuori”). Tutte le donne, comprese le prostitute, coronate
di mirto, prendevano il bagno nelle terme maschili, eseguivano invocazioni
alla dea e abluzioni rituali al fine di ottenere la benevolenza della
Fortuna, dalla quale ci si aspettava che tenesse celati agli uomini
gli eventuali difetti fisici. La statua della dea veniva poi sottoposta
anch’essa ad un bagno rituale (Ovidio, Fasti, IV, 133-170).
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