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Simboli Femminili |
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Rilievo
in marmo proveniente dal tempio di Afrodite (20-60 d.C.) esposto presso
il Museo di Afrodisia, Turchia. I Romani identificarono la dea greca
Afrodite con la divinità latina Venere (Venus). Questa
dea, come molte altre divinità del pantheon romano, trae la sua
origine da una nozione astratta divinizzata che venne rappresentata
antropomorficamente solo in seguito all’influsso culturale ellenico.
La parola venus era infatti in origine un termine di genere
neutro, da cui deriva il verbo venerare, il quale esprime un particolare
atteggiamento dell’uomo verso gli dei. Si tratta di uno sforzo
per accattivarsi la benevolenza del dio cercando di essere seducente,
di trascinare verso di sé. Il nome neutro venne poi utilizzato
per designare una dea che personificava questa forza di attrazione,
che a sua volta generava da parte degli dei la concessione della venia,
grazia o favore. Sotto l’influsso degli Etruschi e dei Greci,
la dea Venus finì per incarnare non solo il fascino nel suo originario
significato religioso, ma anche la seduzione e la potenza dell’eros
personificate dall’Afrodite greca. La raffigurazione mostra l’incontro
di Afrodite con il pastore Anchise, la cui bellezza eguagliava quella
degli dei, tanto da attrarre la passione della dea. L’attrazione
tra i due protagonisti è qui rappresentata dal piccolo Eros alato
che la dea tiene fra le braccia, mentre sulla sinistra compare il volto
della Luna. Dalla loro unione nascerà Enea, l’eroe troiano
a cui la leggenda attribuiva la fondazione di Roma. Per questo motivo
i Romani celebravano Venere con l’appellativo di Venus
Genetrix, come progenitrice e madre della città. Le
feste in onore della dea si svolgevano principalmente nel mese di aprile,
considerato a lei sacro in quanto segnava l’inizio della primavera
e il risveglio della forza vitale.
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